La Direttiva 2000/53/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 settembre 2000, relativa ai veicoli fuori uso, all’art. 7 (Reimpiego e recupero) prevede che “Gli Stati membri adottano i provvedimenti necessari per incoraggiare il reimpiego dei componenti idonei, il recupero di quelli non reimpiegabili, nonché, come soluzione privilegiata, il riciclaggio, ove sostenibile dal punto di vista ambientale, fatte salve le norme sulla sicurezza dei veicoli e gli obblighi ambientali quali il controllo delle emissioni atmosferiche e del rumore”.

A fronte, quindi, di un principio generale di derivazione europea, il D.L.vo 209/03 ha poi disposto che il trattamento del veicolo destinato alla demolizione (e quindi anche lo smontaggio dei pezzi di ricambio) venga effettuato in impianti autorizzati. Da ciò discende che lo smontaggio di pezzi di ricambio al di fuori di un impianto dotato di specifici requisiti normativi sia potenzialmente in grado di generare “un possibile danno ambientale cui si aggiunge il danno economico derivante dalla sottrazione di grandi quantità di materiale (legittimamente destinato ai centri di demolizione) che va ad alimentare un mercato sommerso”.

L’art. 15 del D.L.vo 209/03 regolamenta – tra l’altro – il commercio delle parti di ricambio recuperate nell’ambito dello svolgimento delle operazioni di trattamento del veicolo fuori uso, consentendo il libero commercio solo di quelle non attinenti alla sicurezza. Queste ultime, puntualmente individuate nell’All. III, dovranno essere cedute unicamente agli iscritti alle imprese esercenti attività di autoriparazione, di cui alla L. 122/92 e potranno essere utilizzate solo se sottoposte alle operazioni di revisione singola previste dall’art. 80 del Codice della Strada (peraltro, tale norma disciplina unicamente la revisione di interi veicoli e non di loro parti).

L’utilizzo delle parti di ricambio attinenti alla sicurezza, da parte delle imprese che effettuano attività di autoriparazione, deve risultare dalle fatture rilasciate al cliente.

Viene, inoltre, disposto che lo stoccaggio delle parti di ricambio destinate alla commercializzazione e dei rifiuti recuperabili avvenga in modo appropriato, con la garanzia di non compromettere il loro successivo impiego: tutte le operazioni condotte devono sempre avvenire in luoghi idonei e, relativamente ai componenti contaminati da oli, su basamenti impermeabili.

Per completezza, si segnala che l’art. 231 del D.L.vo 152/06 prevede sostanzialmente le medesime disposizioni sopra riportate, contenute nella legge speciale, in materia di commercio delle parti di ricambio.

La giurisprudenza

Sulla scorta di tali considerazioni, si segnala come – recentemente – la giurisprudenza nazionale sia ritornata sul tema delle parti e delle componenti dei veicoli fuori uso.

Infatti, con la sentenza della Corte di Cassazione, sez. III penale, n. 6939 del 13 febbraio 2018, ha stabilito che i veicoli fuori uso e i prodotti del loro smantellamento sono da considerare, ai sensi dell’art. 184, c. 5, del D.L.vo 152/06, come rifiuti. L’art. 184-ter del medesimo decreto prevede che la qualifica di rifiuto può venir meno quando esso sia stato sottoposto a un’operazione di recupero e soddisfi i criteri e le condizioni previsti dalla stessa norma. Con riferimento ai veicoli fuori uso (richiamando il D.L.vo 209/03), le parti di autoveicoli risultanti dalle operazioni di messa in sicurezza, provenienti dai centri di raccolta autorizzati, costituiscono rifiuti trattabili per il recupero in regime semplificato (ai sensi del D.M. 5 febbraio 1998, suballegato 1-5). Questo significa che affinché le parti di autoveicoli possano cessare di essere rifiuto occorre che esse siano così recuperate, a seguito di messa in sicurezza, da parte di soggetto autorizzato, e che risultino conformi alle condizioni previste dal citato art. 184-ter.